Sono passati 30 anni dalla protesta di piazza Tienanmen a Pechino, nota anche come Primavera democratica cinese, ma in Cina viene considerata come un semplice “incidente”.
Tra il 15 aprile e il 4 giugno 1989 a Pechino ebbero luogo una serie di dimostrazioni di massa che videro la partecipazione di studenti, intellettuali e operai, che chiedevano libertà di espressione, libertà di assemblea e il riconoscimento del diritto alla proprietà privata. L’esito fu drammatico, il regime comunista ordinò all’esercito di massacrare i manifestanti, che a centinaia di migliaia si erano assiepati sotto il grande ritratto di Mao Zedong. Il numero complessivo di vittime ancora oggi risulta incerto e mai ufficializzato.
Dopo anni di censura, di quei giorni ci resta una delle foto più famose del ‘900 (quella dell’uomo fermo di fronte al carro armato) e qualche documento scritto, che ci permettono di conoscere la repressione del governo cinese. Nessuno può dimenticare quell’uomo solo, con in mano un sacchetto di plastica, che si piazza davanti alla colonna di carri armati sulla piazza Tienanmen, e la ferma. È la più straordinaria immagine di quel che significa resistenza umana.
Ancora oggi il regime nega il massacro, dove sono morti, a seconda delle stime, tra i 300 e i 10 mila di cinesi; il ministro della Difesa cinese ha dichiarato ieri che “il governo centrale prese misure decise e questo fu il modo corretto. E’ la ragione per cui la stabilità del Paese è stata mantenuta”.
La dittatura può uccidere la libertà dell’uomo in tanti modi, usando violenza o dimenticando, ma non può cancellarla.
Albert Ho Chun-yan, attivista e politico che a Hong Kong ha fondato il Museo del 4 giugno, l’unico luogo dove si può conoscere la verità su Tienanmen senza essere arrestati, ha dichiarato alla stampa: «Noi abbiamo il compito di cercare la verità e utilizzare quel poco di libertà che ancora ci resta per comunicarla. Dobbiamo farlo per tutti quei cinesi ridotti al silenzio dal regime e per dimostrare a Pechino, e al mondo intero, che non abbiamo dimenticato quello che è successo nel 1989. Non dimenticheremo mai Piazza Tienanmen».
Teniamo anche noi viva la memoria di quanto successo a Pechino, per ricordarci che lo sviluppo che comprende solo il benessere materiale (tra l’altro solo di pochi) e non comprendere i diritti umani di tutti, negando democrazia e pluralità, è inutile, effimero e fuorviante.